Cari adepti oggi smonteremo un sogno dei vati di sventura e dei menagrami sempre pronti a gridare di fine del mondo e di distruzione cosmica che ci attende.
Trattasi della profezia del ’29. Secondo questi treccartari i mercati azionari possono ripiombare da un momento all’altro in una gravissima crisi, la speculazione pazzesca di questi giorni su alcuni titoli è il sinistro presagio dell’inizio dell’apocalisse, ovviamente condito da dati economici nient’altro floridi, da ceppi di virus resistenti al vaccino, da montagne di debiti in giro per il mondo (secondo loro) insostenibili, da derivati da stregoni pronti a cadere come un castello di carta e chi più ne ha più ne metta.
Cosa c’è di vero in queste profezie gonfie di pessimismo? Ben poco.
Se infatti i saggi Shiller e Graham ci invitano ad evitare facili entusiasmi ed euforie irrazionali, la crisi del ’29 che vide un mercato orso pluridecennale, non può ripetersi ai giorni nostri. Chiunque sia un osservatore obiettivo e razionale e abbia un minimo di cognizione storica infatti non può che riconoscere la totale differenza tra il contesto economico attuale e quello di 90 anni fa.
Ma andiamo ad esaminare le caratteristiche che rendono non più ripetibile il ’29:
- L’aggancio delle principali monete all’oro attraverso il gold standard, intrinsecamente deflazionistico;
- La mancanza di un’assicurazione sui depositi bancari;
- La struttura del sistema fiscale, basata principalmente su dazi e dogane invece che su imposte progressive sui redditi;
- l’interdipendenza relativamente bassa delle economie mondiali.
Ebbene chi esamini nell’ordine questi aspetti e provi a ricostruire il susseguirsi di eventi di quegli anni noterà che i meccanismi economici radicalmente differenti oggi causerebbero tutt’altri effetti, con ampi deficit governativi e inflazione da stampaggio di moneta, mentre le banche starebbero tranquille dietro gli scudi della FED pronte a tirar fuori dollari “out of thin air” come piace dire oltreoceano.
Questo non significa ovviamente che non possano verificarsi crolli di borsa, ma non deflazioni prolungate e mercati orsi pluridecennali.
Ma le Cassandre degli indici non si daranno per vinte: ecco tirare fuori il Giappone, fulgido esempio moderno di come le azioni infingarde possano portare a dei loss pluridecennali senza rimedio. Cosa dire in merito? Che la crisi Giappa vide una serie di concause molto particolari, oltre ai prezzi folli della bolla anche una volontà di evitare troppi fallimenti e il salvataggio di parecchie aziende decotte, visto l’attaccamento del Sarary man a mamma azienda che rischiava di essere distrutta traumaticamente. Questo oltre a dinamiche demografiche avverse e al “vizietto” da formica del popolo nipponico creò una spirale deflazionistica che portò la crisi ad avvitarsi per parecchio più tempo di quanto sarebbe stato necessario. Caratteristiche invero uniche del Paese dei manga difficilmente replicabili altrove e soprattutto nella patria del consumismo Yankee.
Insomma, testa alta e petto in fuori, nessun crollo devastante e nessun ritorno all’età della pietra, l’investimento azionario non può che premiare l’investitore più o meno pigro che con la pazienza del pescatore saprà comprare a tempo debito e aspettare i lucrosi frutti, approfittando magari di qualche scrollone come già profetizzato a marzo!
Vade retro orsi!